Millennio Virtuale

È gioiosamente, entusiasticamente escatologica la visione “raccontata” nell’Apocalisse (21, I): “Poi vidi un cielo nuovo e una terra nuova, perché il primo cielo e la prima terra erano spariti”. E si possono, per più versi, considerare come un “nuovo cielo” ed una “nuova terra” le “plaghe virtualmente infinite”, gli “oceani virtuali”, le “realtà virtuali”, l’“universo post-simbolico” che Riccardo Notte assume a tema di questo suo libro, costruito con un corredo amplissimo e vario di elementi conoscitivi provenienti da zone culturali molteplici e complesse (c’è, ad es., la lettura della profezia “di mondi virtuali” di Boccioni, l’attenzione per la “logica dell’affettività”, l’interesse per la rivoluzione massmediologica dell’Internet, l’ascolto di correnti filosofiche come la fenomenologia e l’esistenzialismo, il penetrante e suggestivo discorso sulla “dialettica del limite e dell’illimitato”, lo spazio riservato perfino alla “domanda metafisica”) dissodate con perizia e soprattutto percorse con una nuova “meraviglia”, non più quella “classica”, platonico-aristotelica di fronte al mondo delle cose non più assoggettate ad un uso ed anche ad un abuso pratico, bensì, appunto, di fronte ad un mondo, ed anzi ad una pluralità di mondi che l’uomo Worldmaker va costruendo in questo scorcio di fine secondo millennio, nel pieno della civiltà dei più avanzati “media elettronici”.

Ma non dimentica, Riccardo Notte, quelli che, nell’Apocalisse, si danno come “il primo cielo” e la “prima terra”. No, essi non sono “spariti”. Sì, si può anche spiccare il volo (e Notte non fa mancare il riferimento al “folle volo” dell’Ulisse dantesco volto a vivere “l’esperienza di retro al sol, del mondo senza gente”), si può anche ascendere verso il “nuovo cielo” e muoversi, liberi e leggeri, sulla “nuova terra”; ma questo non comporta affatto una indifferenza totale per il cielo che finora abbiamo contemplato, un’uscita senza ritorno dalla terra che finora abbiamo abitato. Non c’è stato Eraclito a sostenere che “la via in su e la via in giù sono una e la medesima” (fr. 60 DK)? È quest’Eraclito ad indurre Notte ad indugiare (ed è una delle tante suggestive soste critiche, per dir così, da cui si può trarre un grande godimento di lettura, di questo libro) sulla raffaellesca Scuola di Atene, per sorprenderne un senso preciso, in trascurabile per uomini della nostra epoca, ben consapevoli che l’andare in su, verso il “nuovo cielo” e la “nuova terra” è, esso stesso, un “andare in giù”, o un rimanere saldamente legati, al “vecchio cielo”, alla “vecchia terra”. Il Platone raffaellesco punta, sì, l’indice verso il cielo, il paradiso delle idee, ma resta pur sempre il Platone della Repubblica, della città degli uomini nati di madre, pensoso delle loro sorti, della loro educazione e, soprattutto, forse proprio per il dispregio in cui tiene la “sensibilità”, della loro “educazione estetica”.

Lo svolgimento del tema dell’“educazione estetica” non può esentarsi dalla trattazione di un concetto fondamentale nella storia dell’estetica. In proposito, Notte si dimostra molto attento a percorrere alcuni momenti salienti della storia di questo concetto, attraverso l’opera di Wladislaw Tatarkiewicz.

È il grande studioso polacco a fargli comprendere come la mimesi, inizialmente attanagliata in una concettualizzazione per la quale significa unicamente “copia dell’apparenza delle cose”, solo dopo millenni abbia guadagnato una fisionomia che ne cancella l’affidamento ad un significato che ne fa unicamente un gesto di conoscenza passiva di una realtà spogliata di ogni tensione verso la possibilità di essere altra da quello che è, data e non anche costruita o costruibile dall’uomo. Può, allora, intervenire, Notte per il quale non è più possibile assumere l’“essere” come destituito di ogni “tremore” (l’atremes, detto appunto dell’“essere” da Parmenide) lamentando come, una volta accettato il vecchio concetto di mimesi, si sperimenta un “penoso stato di deprivazione sensoriale”, contemporaneamente osservando che “il mondo eidomatico della virtualità fornisce un’estensione delle percezioni umane che non è soltanto quantitativa, ma eminentemente qualitativa”quando la mimesi è giuocata nel rispetto della più piena “estensione delle percezioni umane”, allora e soltanto allora può dirsi che gode di una autonomia e si presenta come imitatio fantastica, cioè come una imitazione che non si arrende ad essere “rispecchiamento” (ah, la cosiddetta estetica marxista come teoria del rispecchiamento!) di una realtà immobile e senza “tremore” alla maniera dell’“essere” parmenideo, assolutamente indiveniente, come un’imitazione creatrice, capace di fare scattare la realtà verso l’orizzonte della possibilità e renderla fremente di questa. A farci caso, è sempre il primo piano il problema della realtà. certo, è anche quella che si stende sotto il “vecchio cielo”, sulla “vecchia terra”. Ma, restando fermi ad essa, si percorre solo la “via all’ingiù”. Eppure, non si può rinunciare a percorrere, contemporaneamente, la “via all’insù”, quando la realtà (dal greco reo = scorro, secondo un’audace etimologia di quelle heideggeriane?) si fa avvertire con tutti i suoi palpiti eraclitei che non permettono di agghiacciarla in un presente che vale una “pienezza dei tempi”.

È una realtà senza futuro che, lungo la stagione ormai più che estiva della civiltà elettronica, si avverte come appartenente alla neiges d’antan. Costi, anche, l’idea concetto e visione ad un tempo, di una realtà avvertita tra l’immobilità di un passato remoto e la più avventurosa ed affascinante mobilità del presente e del futuro, qualsiasi precarietà di un “equilibrio mentale” è impossibile (e Notte, in proposito, è confortato dalla lezione psicoanalitica di Matte Blanco) farle perdere il ritmo interno di una possibilità, in forza della quale si apre, schiudendo, contemporaneamente, nuove vie all’esercizio della sensibilità umana, meno schiacciata, allora, come facoltà unicamente ricettiva della conoscenza. E, a questo punto, il discorso di Notte punta, diritto, su “quelle basi di quella nuova ultramoderna sensibilità prevista da Boccioni, Marinetti e da altri visionari-profeti assetati di futuro”.

Non che questo futuro, accanto al suo fascino, non abbia le sue insidie. Delle insidie, anche diffondendosi in considerazioni di ordine politico, economico e sociale, Notte discute a lungo in questo libro. E sarebbe opportuno ed utile seguirlo nello svolgimento di esse (ad es. quelle sulla “piazza televisiva” e sulla “democrazia telematica”. Personalmente, mi limito ad indicarne una: relativa al potere che hanno i grandi mass media non tanto di promuovere una “nuova sensibilità” quanto piuttosto di incanalarla a senso unico, sino a produrre una “sensibilità comune” che, proprio perché “comune” è fortemente disindividualizzante. Ma mi preme, da ultimo, sempre guardando all’“una e medesima via” che, secondo Eraclito, costituiscono la “via all’in su” e la “via all’in giù”, alla quale fa riferimento Notte, che l’assume anche come “via” o “metodo” della sua ricerca, avvertire e fare avvertire come, attraverso la più appassionata celebrazione del “nuovo cielo” e della “nuova terra” delle “realtà virtuali”, possano anche perdersi di vista il “vecchio cielo” e la “vecchia terra” delle “realtà reali”, cioè un cielo di “stelle fisse” ed una “terraferma”.

Virtuale” – scrive Notte concludendo l’Introduzione – significa infatti possibile, infinitamente possibile”. E mi vengono in mente le “infinite interpretazioni” attraverso le quali Nietzsche riduce il “mondo vero” ad una “favola”. Nella stessa Introduzione, Notte rinvia ad uno dei suoi primi articoli sul tema che affronta in questo libro: Cyberspace: la vertigine del reale virtuale (“Mass Media, marzo-aprile 1991). Certo, il “reale virtuale” è “vertiginoso” nel senso che ha una sua irrequietezza di fondo, gravido com’è di infinita possibilità. Ma è “vertiginoso” anche perché fa venire le vertigini. E bisogna essere nietzschiani per non avvertire il “male del capogiro”. In un certo senso, questo libro fa venire il “male del capogiro”. Dico la cosa anche perché esso è una girandola di idee, di argomentazioni, di problemi, attraente, anche stilisticamente tale e, soprattutto, coinvolgente. Ma questa, si capisce, è una lode, da parte di chi, per mestiere, legge più di un libro che, certamente, il “male del capogiro” non te lo fa venire. Questo libro di Notte, invece, fa proprio questo: aiuta a pensare. Naturalmente, su qualcosa: sulla nostra epoca in cui è percepibile almeno come all’esperienza del mondo che l’uomo vive, soprattutto perché si tratta di un mondo che costruisce anche lui, non si possano assegnare inoltrepassabili colonne d’Ercole.

Convento di San Francesco

Lugano in Teverina, dicembre 1995.

 

PREFAZIONE

di Antimo Negri

INTRODUZIONE

CAPITOLO PRIMO

BOCCIONI PROFETA DI MONDI VIRTUALI

1.1 L’avanguardia protovirtuale

1.2 Nascita dell’immateriale visibile

CAPITOLO SECONDO

IL MOTORE EIDOACUSTICO

2.1 Parametri del passato

2.2 L’infohabitat

2.3 Finis Temporis

2.4 Il motore eidoacustico

CAPITOLO TERZO

MORTE DELLA MIMESI

3.1 L’artefatto perfetto

3.2 Il desiderio dell’apocalissi

3.3 Il fascino delle rovine

CAPITOLO QUARTO

SAN GIROLAMO NEL CYBERSPACE

4.1 L’omeostasi del segno

4.2 Il boomerang del vincolo matematico

4.3 Oltre l’orizzonte degli eventi

CAPITOLO QUINTO

IL COLLASSO DELLA PARCEZIONE DESIDERANTE

5.1 Quale identità nelle realtà virtuali?

5.2 In tema di percezione

5.3 Una nuova logica dell’affettività

CAPITOLO SESTO

INTERNET: FUTURO DI FASCINO E DI INSIDIE

6.1 L’informazione da gettare

6.2 La classe virtuale

6.3 Ciberpolitica

CAPITOLO SETTIMO

DORMIRE SOGNANDO LE STELLE

7.1 La rappresentazione sconfitta

7.2 L’egemonia virtuale

7.3 Spazio virtuale versus spazio interstellare

CAPITOLO OTTAVO

CONCLUSIONE

8.1 Dialettica del limite e dell’illimitato

8.2 L’universo post-simbolico

8.3 Spazio e nuovi media elettronici