Machina ex machina

                         

SAGGIO SUL MITO DEL ROBOT

   

Un giorno potrebbe accadere di sedersi a un tavolo delle trattative davvero particolare. Da un lato le poltrone saranno occupate dai grandi della terra. Si presenteranno i rappresentanti delle Nazioni Unite, i capi di stato, i premi Nobel e le massime gerarchie religiose di tutte le confessioni del mondo. Ma dall’altro si schiereranno singolari esseri di metallo e di silicio, forse umanoidi, forse dalle forme stravaganti e ancora inimmaginabili. Se così sarà i nostri discendenti assisteranno in Interplan, la versione futura di Internet, accessibile mediante un chip impiantato direttamente nel cervello, a una delle più surreali trattative che mai siano state registrate a memoria d’uomo. E anche a memoria di macchina. Perché i protagonisti della fantastica discussione potrebbero essere proprio le macchine, cioè i congegni intelligenti e sensibili. In una parola, i robot.

Questa singolare assemblea avrà molto da discutere. Dovremo stabilire leggi, sanzioni e regolamenti, ma dovremo anche verificare la praticabilità di certi scambi socialmente critici. Puristi, integralisti e razzisti di ogni genere e specie potrebbero avere da ridire sulla moralità di certi “scambi”. Qualcuno insinuerà che si è andati troppo oltre, che certe forme di promiscuità dimostrano che la società è allo sbando, che qualcuno dovrebbe rimettere le cose al loro posto, che occorre tornare ai bei tempi antichi, quando le macchine facevano le macchine e gli uomini gli uomini.

Ma sarà una minoranza, e senza argomenti. Si spera.

Lo scenario appena descritto potrebbe suscitare il sorriso. In effetti si è voluto esagerare, ma poi non tanto. Il futuro potrebbe davvero riservare quella che Isaac Asimov aveva definito l’età del Ferro/Carbonio, per designare la fusione, ma anche l’incomprensione e talvolta il conflitto tra due forme di intelligenza e di sensibilità molto diverse fra loro: l’una nata dal genio dell’altra, ma entrambe in cammino sulla stessa via, come i genitori e i figli lo sono nel percorso della vita.

Oggi alcuni fra questi scenari sono oggetto di convegni internazionali ad altissimo livello, dove tra l’altro si discute di “roboetica”, nuova disciplina che fonde la robotica, la giurisprudenza e l’etica. Certo, in questi dibattiti il cuore del problema riguarda oggi il rapporto tra la robotica e l’industria bellica. È lecito usare armi sempre più intelligenti? Fino a che punto ci si può avventurare in questo genere di ricerche? Esiste un limite invalicabile? In che modo la guerra robotica modifica il concetto stesso di conflitto? E via così. Ma non mancano interrogativi più radicali, sui quali si cimentano filosofi e scienziati che cercano di ripensare il problema del rapporto uomo-macchina alla luce degli attuali impressionanti progressi.

Simili discussioni nascono da un’urgenza, poiché sembra proprio che l’affascinante armatura di plastica e metallo, inventata da poeti e disegnatori, moltiplicata in mille varianti dagli artisti e disseminata ovunque dall’industria cinematografica in oltre un secolo di vita, stia per uscire dallo stampo dell’immaginazione per rivestire in qualche modo i panni della realtà.

Il robot con le inverosimili sembianze del Terminator o di C3PO è un oggetto talmente radicato nell’iconografia popolare da risultare credibile in ogni caso, a dispetto di tutto, perfino ad onta delle ovvie perplessità che in ogni momento provengono dai veri progettisti di macchine intelligenti, ambasciatori dell’estrema modernità.

La persistenza di un simbolo è quasi sempre l’opera della tirannia psichica di un “meme” efficiente. Se, come si ritiene, il meme è l’equivalente informazionale e culturale del gene, allora un meme ben riuscito deve replicarsi da una mente all’altra, proprio come il virus si moltiplica da una cellula all’altra. Se questo processo di replicazione indifferenziata porterà alla morte della cellula non è un problema del virus. Analogamente, se il meme in questione reca in se stesso il potenziale per distruggere il suo ospite, ebbene non è un problema del meme, soprattutto se la sua cellula ospite si dimostrerà così efficiente e servizievole da metterlo nelle condizioni di vivere per conto proprio. Ma questi sono incubi, accanto ai quali fioriscono anche molti bei sogni.

Il meme della robotica nasce senza dubbio dalla fantasia popolare, e in ogni latitudine. Si tratta dunque di un inesplicabile tratto culturale universale, che non può essere chiarito ricorrendo alle teorie diffusioniste. La sua persistenza ha influenzato un intero settore della ricerca scientifica, cosicché ci troviamo al cospetto di uno di quei rari casi in cui un prodotto dell’immaginazione, in forza di se stesso, emerge dal reame dei fantasmi per rivestire i panni della cruda realtà.

L’immaginario precede ogni messa in opera. Ed è questo il filo conduttore di Machina ex machina, un libro che, come tutti i libri, nasce da una lacuna, però, in questo caso, da una lacuna personale. Nel volume You, Robot, che precede questo testo, mancava infatti un excursus sull’immaginario robotico sviluppato soprattutto dall’industria cinematografica, volano delle proiezioni diffuse. Machina ex machina tenta di colmare questa insufficienza prendendo spunto da quattro punti cardinali della realtà umana: l’amore, l’odio, la libertà e il potere. Il libro è in gran parte dedicato all’esame critico di film noti e meno noti in cui il robot è protagonista o vittima, dio o infame creatura. Chi cercherà la completezza non la troverà, quantunque l’autore abbia raccolto in oltre quattro anni di ricerche una quantità impressionante di materiale. I film di tema robotico sono centinaia, e non è detto che i più famosi siano anche i migliori. Perciò si è privilegiato il taglio critico alla completezza filologica, sperando di non aver esagerato nella sintesi.

Questo libro non sarebbe mai nato senza l’aiuto dell’artista coreana Inkyung Hwang, che ha saputo scovare per l’autore materiali introvabili. È poi doveroso esprimere una particolare gratitudine a tutti coloro che per anni hanno dovuto sopportare interminabili discussioni sui limiti e sulle potenzialità dei robot, che hanno dovuto subire letture e riletture di dattiloscritti oscuri o noiosissimi. Difficile credere che il robot possa essere argomento affascinante di conversazione davanti a un lume di candela, per lo meno non per più di cinque minuti.

CAPITOLO 1. Quando i robot ci baceranno

1.1 Come sedurre un robot

1.2 Le inquiete marionette di Bontempelli

1.3 Dalla gineide Alraune alla robotrix di Metropolis: l’inversione del modello della seduzione artificiale

1.4 Le centouno roboerotrix del dopoguerra

1.5 Come sposare un robot

CAPITOLO 2. Quando i robot ci guideranno

2.1 La robotizzazione della politica in alcuni autori della fantascienza classica

2.2. THX1113: l’uomo che fuggì dal futuro. Ovvero, l’inflessibile legge dell’automa

2.3 Dalla delega dei poteri alla delega delle intenzioni

2.4 L’individuo assoluto e il suo amore per il vuoto robotico

2.5 Ghost in the Shell. Dalla signoria sui corpi al possesso dei sentimenti

2.6 Da Blame! a Noise: il trionfo del vuoto artificiale

CAPITOLO 3. Quando i robot ci umilieranno

3.1 Divinità robotiche vengono dal cielo

3.2 Il fascino demoniaco della macromacchina

3.3 In-cubi meccanici

CAPITOLO 4. Quando saremo posseduti dagli spiriti artificiali

4.1 Le folle robotizzate nell’immaginario di Stephen King

4.2 I robot e le masse nel mito di Kyashan

4.3 Casshern: unione di arte e tecnologia

4.4 Analisi del mitogramma